Articolo scritto per
“Il Giorno” nel gennaio 1978 e non pubblicato “per motivi di
opportunità”.
I giudizi espressi
nei giorni scorsi da parte americana sugli sviluppi della politica
italiana e la possibilità di accesso dei comunisti al Governo del
nostro Paese hanno destato vivaci polemiche ed introdotto qualche
nuova ragione di tensione. Conviene però essere molto obiettivi nel
guardare
all’insieme di
questa vicenda. È comprensibile e giusto, si osserva, che un Paese
indichi ad un altro, amico ed alleato, proprio in considerazione del
particolare vincolo che li unisce, i pericoli che vede emergere
all’orizzonte e le conseguenze che, in determinate circostanze,
possono verificarsi?
Queste valutazioni
in quanto riguardino l’opinione pubblica in generale e si esprimano
per canali appropriati, sono ineccepibili. Se una democrazia non
fosse in grado di accettare e di riassorbire una polemica, e per
giunta in materia così delicata ed importante, essa cesserebbe di
essere tale e cioè
viva, problematica
ed aperta. Vi sarebbe conformismo e non invece dialogo e ragionato
consenso o dissenso. Le cose sono un po’ diverse, se le valutazioni
siano formulate in sede di Governo (o dietro sigle trasparenti) e
fatte conoscere senza vincolo di discrezione. In tal caso fattori
esterni incidono in un dibattito in corso nelle sedi competenti ed
influenzano le decisioni. In queste circostanze la non interferenza
si risolve nella rinuncia a porre concreti impedimenti; del tutto
naturale, del resto, in una grande potenza che è anche una grande
democrazia. Siffatti giudizi dunque potrebbero turbare ed impacciare
i sinceri amici dell’America i quali sono tanti, forse più che non
si pensi, nel nostro Paese.
Di più il rendere
pubblici dei punti di vista, perché se ne tenga conto, non solo
genera disagio ma obiettivamente limita la libertà di manovra
politica, della quale l’altrui valutazione finirebbe per apparire
la ragione esclusiva o prevalente. Certo l’autonomia di decisione
resta, nella complessità delle sue motivazioni, perché essa è ad
un tempo un diritto e un dovere. Tuttavia taluni delicati problemi di
politica internazionale, come altre rilevanti circostanze, non
sfuggono, ci siano ricordati o meno, alla nostra attenzione ed al
nostro senso di responsabilità.
Si può immaginare
allora che, per un canale improprio, il destinatario sia, più che il
Governo o l’opinione pubblica del Paese amico, uno Stato terzo nel
quadro di equilibri di potenza, ovviamente non solo militari, ma
politici da preservare a livello mondiale. E questa è una cosa che
sarebbe
da ingenui non
comprendere, prima perché è un dato della realtà (e fuori dalla
realtà non si fa politica), poi perché un assetto bilanciato è un
fattore di pace, certo non sufficiente, ma essenziale. Trattandosi di
un dato di tale natura, non si può certo dunque ignorarlo, anche se
è fuori discussione un qualsiasi intervento di forza ed evidente la
difficoltà di influenzare complessi processi legati a condizioni
storiche, economiche sociali, psicologiche e politiche talvolta
scarsamente comprensibili fuori dei confini. Può determinarsi però
in un’atmosfera internazionale più difficile e più pericolosa.
Il Partito Comunista
Italiano ha percepito con la consueta lucidità il carattere delicato
di questo nodo e vi ha corrisposto con una scelta, quella di
accettare la Nato, frutto, più che di vocazione, di rigoroso
realismo politico in uno spirito di lealtà del quale non vogliamo
dubitare. È evidente peraltro che la situazione ha aspetti
problematici e che dubbi e preoccupazioni esistono in coloro, i quali
indubbiamente contano in quel generale contesto politico nel quale
siano inseriti. Certo un’esperienza qual è quella che i comunisti
italiani chiedono di fare (i francesi sembrano più lontani dal
desiderarlo davvero), pone per tutti degli interrogativi e trova
perciò risonanza anche all’Est, dove non mancano moniti, i quali,
per essere di stampa, non cessano di essere autorevoli. Non tocca a
noi però fare il conto dei dati favorevoli o contrari. A noi tocca
decidere, sulla base della nostra conoscenza, in piena autonomia, ma
con grande equilibrio e senso di responsabilità. Per questo
riscontriamo delle diversità non trascurabili ed escludiamo una
sorta di generale alleanza politica con il Partito Comunista, della
quale mancano le condizioni. Ma vi è uno spazio nel quale, guardando
agli interessi del Paese, in una situazione che è indiscutibilmente
eccezionale, in presenza del venir meno dei legami tradizionali dei
partiti, è possibile raggiungere una positiva concordia sui
programmi ed un grado di intesa tra le forze politiche e sociali, i
quali consentano, con una soluzione equilibrata ed adatta al momento,
di far fronte all’emergenza e di sperimentare un costruttivo
rapporto tra partiti molto differenziati, che la realtà della
situazione obbliga a non ignorarsi ed a non paralizzarsi, provocando
con ciò la paralisi, e forse peggio, dell’Italia. Su questa leale
trattativa, che includa strumenti giuridici atti a rendere non più
necessari taluni referendum, si gioca l’esito della crisi con la
possibilità di scongiurare eventi traumatici. Vale la pena di
cogliere
il significato
politico e di fare appello alla prudenza, all’intelligenza, allo
spirito aperto di coloro sui quali ricadono le massime
responsabilità.
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